Eugenio Canali si racconta ripercorrendo i suoi inizi in azienda. Uno sguardo personale rivolto al passato, per ricordare i momenti più importanti del suo lavoro e riflettere sui valori e sulle scelte che hanno permesso a Canali di arrivare qui, oggi.
Come è iniziata la sua esperienza all’interno dell’azienda?
All’epoca fui amabilmente trascinato in questo mondo. I miei studi universitari sarebbero dovuti andare in un’altra direzione, ma ad un certo punto uno dei miei fratelli mi chiese di entrare a far parte dell’azienda. Così mi iscrissi alla facoltà di Economia; mi sentivo adulto e avevo intuito la necessità di qualcuno in azienda che si interessasse di numeri perché ormai mio padre e mio zio erano abbastanza anziani.
Come è stato il suo primo approccio al mondo di Canali?
Sono partito da zero, non conoscevo i dettagli tecnici della lavorazione di impermeabili e abiti e dovevo cercare di imparare velocemente dai sarti. I tecnici erano gente di grande abilità, ma con un approccio molto distante dal mondo accademico dal quale provenivo; appena laureato mi ricordo di essere entrato nel laboratorio dell’azienda: mentre un’operaia mi spiegava alcune fasi di lavorazione, pronunciò una parola in dialetto locale. Le chiesi timidamente il significato di quel termine e lei, guardandomi negli occhi, mi disse: “Ma a lei cosa è servito studiare tanto se non conosce nulla di occhielli e sartoria?” In quel momento, mi resi conto che i miei studi non mi avrebbero aiutato granché in questa nuova impresa e che avrei dovuto imparare velocemente tutta una serie di concetti a me sconosciuti. Questo mi fece capire che nella vita non bisogna mai sentirsi arrivati, ma che bisogna continuare ad apprendere cose nuove.
Che cosa ha fatto una volta entrato in questa nuova realtà?
Il mio ingresso nell’azienda di famiglia risale al 1953. Per prima cosa cercai di darle uno schema razionale e la prima decisione fu quella di concentrare le nostre forze sulla produzione di un unico capo d’abbigliamento: l’impermeabile. L’impermeabile era un indumento molto diffuso alla fine degli anni Cinquanta; era un capo di uso comune che riparava sia dall’acqua che dal freddo, può essere considerato come l’antenato dell’attuale sportswear. Successivamente, nel gennaio 1970 decidemmo di dedicarci alla produzione di abiti.
Che ruolo ha la Brianza nella storia di Canali?
La Brianza nel 1950 era una delle zone più operose d’Italia, i brianzoli sono sempre stati considerati grandi lavoratori. Nonostante io avessi studiato lontano da quei luoghi, feci fatica a spostare l’azienda altrove, le radici della mia famiglia erano a Triuggio e gran parte della zona ruotava attorno alla nostra produzione. Era interessante vedere i nostri clienti americani venire in Brianza; lavoravamo la domenica e il lunedì, il martedì arrivava il capo a verificare gli ordini e poi andavamo tutti in un ristorante della zona a mangiare i nostri piatti tipici. Alcuni vecchi clienti se lo ricordano ancora adesso, a distanza di cinquant’anni.
Quando è stata la prima volta che avete portato Canali oltreoceano?
Era il novembre del 1979, mi recai per la prima volta a New York. Mi ricordo ancora di essere rimasto immobile a fissare i grattacieli per molti minuti. L’America era un mercato estremamente diverso da quello italiano ed europeo. All’inizio gestivamo tutto il mercato con solo due agenti che si spartirono il territorio ad est e a ovest del Mississippi, poi decidemmo di aprire lo showroom al trentasettesimo piano di uno stupendo grattacielo che affacciava su Central Park; i nostri clienti americani restavano sempre ammirati.
Ripensandoci ora, che bilancio fa dei suoi primi anni in azienda?
I primi dieci anni furono un esperimento particolarmente duro perché dovevo entrare in un mondo per il quale non ero preparato, ma la mia determinazione mi permise di andare avanti. Inizialmente volevo diventare uno studente di psicologia, mi ero molto appassionato alla materia e di conseguenza entrare a far parte della realtà di famiglia fu un cambio di rotta considerevole. Nonostante ciò, penso che la mia passione sia stata molto utile nel mio lavoro; durante la mia carriera, mi ha giovato molto approfondire l’aspetto umano dei miei collaboratori e li ho sempre considerati persone prima che tecnici.
Come si scelgono i collaboratori?
Sono sempre stato molto rigido e selettivo in questo processo. Cerco sempre di studiare prima la persona e poi le sue competenze, perché ad una certa età l’impostazione psicologica si consolida mentre la tecnica muta e migliora fino all’ultimo giorno di lavoro.
Le persone sono un elemento fondamentale dell’azienda. Ci sono altri aspetti che lei considera essenziali per il successo di Canali?
Ho sempre voluto concentrarmi su un aspetto preciso, ovvero essere un’azienda che cura la sua produzione nei particolari. Poniamo grande attenzione a tutti i dettagli durante la realizzazione di una collezione, come per esempio la ricerca maniacale dei materiali più innovativi da impiegare per confezionare i nostri abiti. Un altro aspetto che ha sempre colpito positivamente chi lavora con noi è il rigore con cui ho impostato l’azienda, sia nella gestione dei rapporti umani che del prodotto.
Qual è, oggi, il suo rapporto con Canali?
Oggi mi impegno a non dare ordini, ma suggerimenti. Sono contento che, nonostante il passare degli anni, si sia tramandato l’obiettivo che chi lavora qui si senta sereno.